Concetto Pozzati XXL: l’antologica a Bologna
Dal 27 ottobre all’11 febbraio Palazzo Fava a Bologna ospita la mostra Concetto Pozzati XXL. L’antologica dedicata all’artista ne ripercorre i momenti fondamentali della carriera, attraverso circa cinquanta opere tra dipinti di grande formato, lavori tridimensionali e su carta. Si tratta della prima grande mostra dell’artista realizzata in una sede museale dopo la sua scomparsa. L’esposizione è curata da Maura Pozzati, critica d’arte e docente, curatrice e direttrice dell’Archivio Concetto Pozzati.
Chi era Concetto Pozzati e perché vale assolutamente la pena visitare l’antologica Concetto Pozzati XXL? Scopriamolo insieme!
Opere inedite o non più esposte da tempo; dipinti di grande formato e istallazioni monumentali compongono una rassegna organica e affascinante. La mostra riporta alla luce la produzione più significativa e meno nota di Pozzati. Un’artista la cui estetica e poetica continuano a essere di grande attualità. Pozzati aveva lungamente sognato di realizzare proprio a Bologna una mostra di opere di grandi dimensioni. Concetto Pozzati XXL è dunque la realizzazione di questo sogno: la mostra rende omaggio alla sua vasta produzione pittorica, grafica, intellettuale e umana.
Palazzo Fava omaggia Concetto Pozzati
La mostra delinea un percorso non cronologico. Il viaggio nella produzione di Pozzati si svolge per temi. Si suggerisce un dialogo intimo tra i quadri del pittore, gli affreschi e gli elementi architettonici e decorativi di Palazzo Fava. Le opere scelte sono allestite nelle 6 sale del Piano Nobile e nelle stanze del Piano Galleria. Esse attraversano e ben illustrano le fasi principali della carriera dell’artista.
Il Piano Nobile per esempio, accoglie i dipinti di grandi dimensioni in un percorso espositivo che spazia dalle opere iconiche della metà degli anni ’60 alla produzione degli anni ’70, ovvero la meno conosciuta. Fino ai lavori degli anni ’80 e 2000 e oltre, come l’ultima serie, “Vulvare”, del 2016.
La Sala Giasone presenta quattro dittici di grandi dimensioni (200×600 cm) realizzati tra il 2007 e il 2010: A casa mia, Ciao Roberta, Tempo sospeso e Cornice cieca, opere in cui emerge l’interesse di Pozzati per gli oggetti familiari e d’affezione. L’opera Ciao Roberta (2007) è un commovente commiato dalla moglie scomparsa. Il vuoto lascia spazio alle cose che parlano di lei – la bicicletta, la giacca, le pantofole di casa e altri oggetti personali – che improvvisamente acquistano un senso universale e diventano segni di una mitologia del quotidiano.
Concetto Pozzati XXL (e inedito)
Nella Sala Rubianesca trovano invece collocazione quattro grandi lavori inediti realizzati ad acrilico e tecnica mista (smalti, collage) tra il 2013 e il 2014. Le opere si intitolano Sottochiave e Occupato e raffigurano due degli oggetti più rappresentativi del domestico: la chiave di casa e il telefono, le cui immagini vengono reiterate in un giocoso sovrapporsi di forme, sagome e colori.
La mostra riunisce eccezionalmente una selezione di opere degli anni ’70, forse la stagione meno conosciuta di Pozzati, quella senza dubbio più lontana dalla sua “cifra stilistica”, ma ricca di prove e sperimentazioni. Sono questi gli anni di massima concentrazione intellettuale di Pozzati. L’artista sceglie prevalentemente tecniche miste e sperimentali, usa l’aerografo, applica oggetti sulla tela, integra la scrittura in corsivo e dà vita a dipinti ariosi e luminosi che secondo Briganti esprimono “imprevedibile ironia tra calda creatività emotiva e fredda osservazione analitica”.
Nella Sala Enea sono infatti presenti cinque grandi opere su tela realizzate a tecnica mista (collage e acrilico) tra il 1973 e il 1976. Per una pietà della produzione (1973-74), Analisys of Beauty da e per William Hogarth (1974), Eau Domestique ’74 (Numana), Guardare è Possedere (1975) e Per difendere il suo blu (1976).
Gli specchi
Tra il 1967 e il 1970 Pozzati produce i suoi famosi quadri con gli specchi: opere che interrogano lo spettatore sull’ambiguità dell’immagine. Gli specchi e le materie lucide e riflettenti moltiplicano l’immagine, rendendo tutto provvisorio e paradossalmente opaco. La distinzione tra realtà e finzione, tra arte e vita diventa sempre più labile.
La Sala Albani presenta dunque due grandi tele con specchi realizzate nel 1968, Segnaletica e Pom 132 e la scultura in specchio Mare decorativo con pioggia (1967).
La sfida dei fiori e l’universo femminile
La Sala Carracci è tutta giocata sull’elemento femminile: in essa viene tracciata una linea che parte dall’immaginario Pop, con le rose stilizzate degli anni ’60, fino alla serie Vulvare (2016), di cui sono esposte due opere. Il Piano Galleria di Palazzo Fava è occupato dalle opere su carta, nient’affatto marginali nella produzione dell’artista, anzi, da lui considerate importanti quanto i dipinti.
A che punto siamo con i fiori?
La Sala Cesi accoglie tre opere in acrilico e olio su tela del ciclo “A che punto siamo con i fiori?“, della fine degli anni ’80. Un ciclo in cui Pozzati omaggia un filone di ricerca artistica e di storia dell’arte: la pittura che ha per soggetto i fiori, da Van Gogh a Monet, da Redon a Morandi. Una partita “persa prima di iniziare” secondo le stesse parole dell’artista. Pozzati omaggia la pittura e i suoi grandi protagonisti e si apre al lirismo. Il dittico Con mio padre, Passeggiando tra i fiori neri, cita la figura del paralitico presa in prestito da un dipinto paterno e si traduce in una passeggiata emotiva di ricordi. Assenze e presenze, in un notturno di immensi vasi di fiori neri.
L’inventario Pozzati
Concetto Pozzati XXL espone anche la monumentale Dopo il tutto, composta da 301 disegni a tecnica mista, presentata per la prima volta alla Galleria De’ Foscherari di Bologna nel 1981 e poi alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna nel 1991. Ad affiancarla una selezione di fotografie che documentano quelle memorabili installazioni.
Si tratta di un’opera unica, un assemblaggio di una miriade di disegni numerati e ordinati. Una sorta di “inventario della fine, un catalogo sulla non differenza dei segni e delle immagini” nelle parole dello stesso Pozzati. Un enorme collage a protezione della memoria, in cui gli elementi del linguaggio artistico e personale dell’artista.
Un film per conoscere meglio Concetto Pozzati
Nella sala video è infine proiettato il film A che punto siamo con i fiori? di Stefano Massari (35’, Italia 2019), un documentario composto della materia, dei segni e della voce di Concetto Pozzati, realizzato nello studio dell’artista poco prima della sua scomparsa. Siamo abituati a contributi video che ci permettono di immergerci in maniera più diretta e incisiva nella vita e nelle opere di un’artista. Questo però, mi pare spicchi per verità ed emozione. Quando Pozzati rievoca l’amore per sua moglie Roberta e la sofferenza che ha accompagnato la sua scomparsa, in un certo senso superata proprio grazie alla pratica catartica della pittura in Ciao Roberta o quanto racconta della possibilità di fallire come artista-docente, in riferimento alla lunga carriera di direttore e insegnante nella principali accademie nazionali, l’uomo prevale sull’artista.
Da Bologna a Parigi: identikit di un’artista
Concetto Pozzati nasce il 1 dicembre del 1935 a Vò, in provincia di Padova. Il padre Mario Pozzati è un artista emigrato in Argentina per fare il cartellonista pubblicitario. Egli è amico di De Chirico, De Pisis, Carrà, Guidi, Licini e Morandi. Concetto si forma a Bologna diplomandosi all’Istituto statale d’arte. In quel periodo il clima artistico della città dominato dall’Informale, ha in Francesco Arcangeli il suo punto di riferimento.
Le Teste che Pozzati dipinge hanno una forte tensione drammatica e una inquietudine esistenziale, descritta così nei suoi scritti: “preferisco il volto che la… testa. Il volto è uno spaccato verticale disegnato su segni. La somma fa apparire un volto: un volto di segni appunto. La testa, invece, è fatta di buchi, di fosse nere, di orifizi e ha bisogno di materia”. Si trasferisce poi a Parigi, dove gravita intorno all’atelier dello zio Sepo, noto cartellonista di fama internazionale che lo avvicina alla grafica pubblicitaria.
Riconoscimenti internazionali
Il 1959 è un anno importante per Concetto Pozzati. L’artista esce dai confini cittadini e approda alla Galleria romana La Salita e a quella milanese dell’Annunciata. Qui conosce Carlo Carrà, vecchio amico del padre, e Lucio Fontana, che acquista un quadro tra quelli esposti. Da questo momento fino al 1962, nelle tele cominciano a formarsi delle morfologie organiche. Forme che esprimono la voglia di uscire dall’informale per trovare sempre una più chiara definizione dell’immagine.
Tra il 1963 e il 1965 l’artista è presente alle Biennali di Tokio, di San Paolo del Brasile, di Spoleto e di San Marino. Pozzati tocca il vertice della sua popolarità partecipando a soli 28 anni alla XXXII Biennale di Venezia. Chiamato da Cesare Gnudi e Maurizio Calvesi in un’edizione che segna l’esordio in Italia della Pop Art americana. Dopo poco, arriva un altro invito importante a livello internazionale, la terza edizione di Documentata di Kassel, dove espone nella stessa sala di Jasper Johns.
Uno, nessuno e centomila: camaleontico Pozzati
La Pop Art di Concetto Pozzati ha una sua peculiarità, che si avverte soprattutto nella definizione dello spazio e nell’impaginazione degli oggetti. Essi appaiono come messi in fila e che diventano icone della contemporaneità. In un’ intervista uscita su Bolaffiarte del 1976 Pozzati argomentava la differenza tra quella americana e italiana. Alla domanda “Che cosa ha rappresentato la Pop Art per la sua generazione” egli rispondeva “mettere a fuoco il concetto di mercificazione. Abbiamo capito che qualsiasi forma artistica era un prodotto come tutti gli altri: era soltanto una merce. A differenza degli americani, per noi però, non si è mai trattato di glorificare le merci, ma semmai la consapevolezza di ridurre l’arte a merce….Capii che le immagini private non solo si scontrano con quelle pubbliche-cartellonistiche, ma che il privato e il pubblico si scambiano le parti”.
Dopo un esordio come artista informale, si dedicata anche alle tematiche pop. Dal 1967 nei quadri di Pozzati compare un elemento nuovo che dialoga con la pittura: lo specchio. Ecco allora le sagome delle pere e dei pomodori fatte di specchio. Restituire all’osservatore l’immagine di se stesso nell’atto di guardare e dell’ambiente circostante. Come a volere sottolineare la duplicità della pittura fatta di finzione e di natura, di manualità e di intervento mentale. Le sue opere sembrano comunque reinterpretare un certo surrealismo, come nella celebre Per una impossibile modificazione (1964). Un insieme di frutti si rapporta con il suo doppio pittorico in modo paradossale. L’opera fu esposta alla Biennale di Venezia del 1964.
Insegnare a dissacrare
Concetto Pozzati si è dedicato ampiamente anche all’insegnamento. Prima all’Accademia di belle arti di Urbino, di cui poi è stato anche direttore fino al 1973; in seguito ha insegnato alle Accademie di Firenze e Venezia. Quando è diventato ordinario della cattedra di pittura all’Accademia di belle arti di Bologna, gli è subentrato l’amico Emilio Vedova. L’importanza del suo lavoro ha ottenuto ulteriore riconoscimento quando è stato eletto accademico di San Luca.
Dal 1993 al 1996 è stato assessore alla cultura al comune di Bologna. Parallelamente all’approdo alla didattica, l’artista sviluppa una vena sempre più dissacrante. Pozzati ironico, Pozzati “rapinatore”, Pozzati “guardone”, sono tutte etichette date dalla critica più attenta. Dal 1977 al 1979 Pozzati inserisce nei suoi nuovi lavori elementi personali. Si tratta di immagini private, è il tempo del ricordo. Ancora una volta la dualità tipica dell’artista, tra memoria personale e memoria storica, tra storia privata e storia pubblica. Nasce il ciclo “Fuori dalla porta”, dove vecchie fotografie, schizzi, buste di lettere, cartoline, vengono inglobate in colla vinilica colorata, facendole prematuramente ingiallire.
Le buste
Tra il 1974 e il 1977 Concetto Pozzati realizza una serie di lavori dedicati al tempo ritrovato e ricevuto. Buste bianche, gialle, rosa, chiuse o aperte alludono a lettere mai spedite e a pensieri mai condivisi. Appunti scritti in corsivo, una rosa che spesso fa capolino dalla busta sono elementi ricorrenti. Il collage e la citazione, cifre stilistiche alla base della poetica di Pozzati sono il mezzo per ripercorrere sentimenti ed emozioni lontani, spesso rimasti inespressi, come sigillati in buste di lettere.
Concetto Pozzati XXL e gli anni duemila
“Sotto chiave” del 2014, è un ciclo che parla solo di chiavi. Per Concetto sono oggetti importanti. Ne ha infatti tante in studio, di quelle vecchie e pesanti, di ferro, per lui portano fortuna, come i ferri di cavallo. Lui stesso disse: “sono notoriamente molto superstizioso e le chiavi sono un portafortuna, se non la dialettica del chiuso-aperto-chiuso”.
Alla fine del 2015 comincia l’ultimo ciclo, “Vulvare”. Un vero e proprio omaggio all’origine del mondo e alla vulva-vagina. Gli ultimi quadri dipinti dall’artista presentano tutti lo sfondo rosa oppure sono tele grezze, dove immense vulve si fanno fiore o frutto. Il tutto grazie ad un processo di stilizzazione che ricorda i lavori degli anni Settanta nella loro ortogonalità ed essenzialità. “Lei, quella cosa, la si pratica con la pittura e la carnosità della pittura stessa si fa vulva del desiderio, perdendosi nell’abisso rosa e tiepido. Magari avvicinandosi e perdendosi a “L’origine del mondo” del 1866″: queste le ultime parole scritte dall’artista.
📍Concetto Pozzati XXL
Luogo: Palazzo Fava, Via Manzoni 2, Bologna
Orari: dal martedì alla domenica dalle 10:00 alle 19:00 (ultimo ingresso alle 18:00)
Prezzo: intero 14,00€
Sito
Se l’articolo vi ha incuriosito, non dovete far altro che visitare Concetto Pozzati XXL a Palazzo Fava. Un consiglio? Per un weekend all’insegna dell’arte, unite alla mostra anche qualche capatina agli eventi gratuiti di Foto/Industria.
Conoscevate Concetto Pozzati? Fateci sapere cosa vi ha colpito dell’artista e della mostra nei commenti.
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